Tlacaxochitl: TULIPANO
Legge Aannabella Calabrese
FIABE DAL NUOVO CONTINENTE
Tlacaxochitl: TULIPANO
PROVENIENZA: Popoli ATZECHI (attuale Messico Settentrionale)
Le ombre della sera, avvolte in cuffie nere, parevano danzare per vie e sentieri.
Le loro lunghe sagome si agitavano bizzarre e un profondo silenzio invadeva la terra.
Di colpo sorse a oriente una linea luminosa: era l'aurora che si avvicinava dispiegando i suoi ornamenti lussuosi, facendo fuggire in disordine le ombre ballerine che si nascondevano in angoli e bassure.
A poco a poco il corteggio di nubi arrivò ed esseri e cose si inchinarono davanti alla Signora dell'Alba che, raggiante di felicità, sorrideva alle cose e agli esseri. Il suo passo era soave e a ogni istante si agitava il suo vestito dai toni delicati, e sopra i suoi cappelli luminosi sfoggiava fiori rosati.
All'improvviso si udì sorgere dallo spazio: "Alleluia, Alleluia", e dietro e voci canterine il cielo s’illuminò spargendo, un alone di luce intorno a Tonatiuh - sole - che giungeva, mentre il suo braccio forte di guerriero invincibile scagliava i suoi dardi in direzione dei quattro punti cardinali.
Nella valle le nuvole azzurrine se ne andarono oltre gli alti picchi, intanto che sulla terra i fiori e gli uccelli si risvegliavano.
Fu in quell'ora che il principe Atótotl - uccello d'acqua- regale nei suoi ornamenti, accompagnato dal suo seguito di servitori e guerrieri, lasciò il regno chalca alla ricerca del feroce océloti - tigre - che, gli avevano assicurato, ogni mattina scendeva a placare la sua sete nelle acque tranquille del lago Chapultepec - colle del Chapulín.
Con cautela da cacciatore il principe giunse al lago che sembrava un turchese regale addormentato sotto i venerabili cipressi-sabini, anziani dell'acqua -, ma d'improvviso si fermò perché da dietro un gruppo di alberi giganti si levava una voce misteriosa che intonava un bel canto a Tonatiuh.
Atótotl e tutta la comitiva cautamente si avvicinarono al luogo da dove proveniva una voce tanto meravigliosa, e il loro stupore non ebbe limiti nello scoprire in mezzo alla radura del bosco un’avvenente fanciulla che sotto la carezza del sole danzava il ballo rituale del dio Sole.
Il principe, assorto, contemplò la bella del bosco e, innamorato della sua gracile figura, sentì nascere nella sua mente un'idea: portarla al suo palazzo!
La divina TlacahxóchitI, ignorando che pupille umane la osservavano, continuava tranquillamente a danzare, senza sospettare che occhi ardenti come braci carpivano ansiosamente tutti i suoi movimenti.
Un rumore quasi impercettibile fece interrompere le danze a Tlacahxóchitl: un ramo si era spezzato tra le mani bramose del principe.
Tlacahxóchitl spaventata cercò di fuggire, ma due braccia erculee e calde la imprigionarono impedendole ogni movimento.
Dalla nubile gola sfuggi un grido disperato e ribelle. Le sue mani pallide e sericee come nardi si aggrapparono al collo del suo rapitore con disperazione di fiera rinchiusa, ma comprendendo che tutti i suoi tentativi erano inutili la vinta principessa implorò il dio d'Oro:
"O padre Tonatiuh, vieni in mio aiuto!"
Quel grido, che ruotò come foglia smossa dal vento, causò timore al seguito del principe; ma malgrado quella voce straziante, la bella Tlacahxóchitl fu portata al palazzo del principe Atótotl.
Lunghe ore di incoscienza sprofondarono la bella del bosco in un tranquillo sonno. Circondata da schiave che spiavano il suo volto, Tlacahxóchitl era rimasta immobile sopra il letto di fini stuoie.
Nel frattempo il principe passeggiava nervoso nell'abitazione vicina, in ansiosa attesa che la leggiadra fanciulla lo chiamasse con richiamo amoroso, come gli aveva assicurato lo stregone più anziano del suo regno.
La mattina divenne interminabile per il giovane innamorato, e nella stanza dalle finestre trasparenti tecalli- alabastro - la luce andava assumendo tonalità marine, quando Tlacahxóchitl apri le sue meravigliose palpebre e, impazzita d'amore, uscì nei giardini principeschi da dove chiamò con parole che stillavano miele il suo amato, il dio Tonatiuh.
Il principe, informato di tal cosa, pallido di ira andò in cerca della fanciulla e, all'assicurarsi della verità di quanto testimoniato dalle schiave, tremando di collera, giunse fino alla misteriosa giovane e prendendola bruscamente per un braccio la condusse alla stanza più lontana del suo palazzo.
Tlacahxóchitl, annegata nel pianto, implorò compassione:
"Lasciatemi signore, sono la sposa promessa del dio Tonatium, e non posso acconsentire a essere vostra compagna perché sarebbe uno spergiuro che provocherebbe la collera divina"
"Ti amo - assicurò il principe - ti amo tanto che nulla impedirà che tu sia la mia sposa, e voglio che tu sappia che gli dei perdonano e proteggono l'innamorato sincero che leva fino a essi le sue orazioni e offre loro sacrifici, ansioso che ascoltino la sua preghiera."
"Per carità, lasciatemi libera, principe, devo tornare al mio bosco, perché il mio dio aspetta di vedermi danzare il rito dell'amore sacro."
"Cessa il tuo pianto, perché ogni ribellione è inutile. E devi sapere che, fino a che non acconsentirai a essere mia sposa e le nozze si terranno, tu starai prigioniera in questa stanza senza luce."
E il principe compì la sua promessa. Tlacahxóchitl viveva in una eterna notte.
Il tormento di vedersi allontanata da Tonatiuh la sprofondò nella tristezza e nella desolazione. Le lacrime più ardenti bagnavano il suo volto, e, languente di dolore, anelava la morte.
Il principe Atótotl, al sentirsi defraudato nel suo amore, provò gelosia per il dio d'Oro, e, vendicativo, comandò di tappare le finestre della stanza perché solo brillasse la luce delle tede accese.
Il tempo trascorse lento per la povera prigioniera, che passava le ore rannicchiata nel suo letto, con la carnagione impallidita e la bocca avvizzita, cosa che allarmò tanto il principe che immediatamente pensò di circondare di lussi la sua bella amata.
Non tardarono ad arrivare orefici e decoratori da terre lontane, che subito ornarono la stanza con baldacchini, piumaggi, stuoie molto raffinate e ben lavorate, matasse colorate con stampe greche, bracieri in cui si bruciavano i legni profumati, e mille bellezze d'oro e d'argento.
Ma la principessa, indifferente a tutti i tesori riuniti attorno a lei persistette immobile nel suo letto.
In tal disprezzo non disilluse il principe che mandò a chiamare le schiave affinché la ornassero, mentre ballerine della Corte eseguivano per lei le loro più belle danze. Ma tutto invano!
Tacahxóchitl nulla voleva, e solo dava segnali di vita quando altera cercava di allontanarsi da tutto quel dispiego di lusso.
Il principe, commosso dal suo dolore, acconsentì a che non la si importunasse più con danze e lussi, ma quando ella rimase sola, sciolse al suo orecchio le più belle canzoni d'amore.
"Fanciulla preziosissima, invano ho implorato che gli dei pieghino il tuo orgoglio, stacchino dal tuo petto, come il vento scaglia lontano dai campi la terra secca, l'amore che senti per il dio Tonatiuh, e tutto perché non posso vivere senza il tuo amore, perché se tu neghi questa gioia alla mia esistenza, sarà come un bosco senza rumori, come un campo senza fiori, uccello senza canto d'amore e cielo senza splendori.
Donzella stimatissima come gemma di gran pregio, è giusto che sappia che il tuo viso bello come un fiore è l'allegria della mia vita, corolla di gradita essenza.
Graziosa fanciulla, dammi il calore che impedirà che la mia esistenza sia arida come un campo senza fiori."
"Abbi compassione di me, Signore, - implorò Tlacahxóchitl- tu non devi parlarmi così, o principe! Perché il mio cuore appartiene solo al dio Tonatiuh."
"Forse che un dio può corrispondere all'amore di una fanciulla della terra?"
"Tonatiuh mi ama - assicurò con orgoglio la giovane - e adesso che lo sai comprendi che mai potrò essere tua sposa; per questo io ti chiedo di darmi la libertà: ho bisogno che il mio amato signore mi baci con i suoi baci caldi."
Quando TlacahxóchitI finì di parlare, il principe, in collera, lasciò la stanza e la fanciulla dopo aver pianto sconsolatamente, si addormentò sognando che Tonatiuh giungeva fino a lei accompagnato da un gran seguito di guerrieri e il Signore d'Oro, prendendola per mano, la obbligava a ballare con lui una leggiadra danza piena di amore.
Era tanto reale la visione che Tlacahxóchitl aprì le palpebre e le sue pupille dilatate per il terrore scoprirono il corteggio reale che stava entrando nella stanza per offrirle gli ornamenti da sposa.
Ai suoi piedi furono accumulati i regali d'amore inviati dal principe Atótotl: tele tessute con ricche piume, trame a catena di piume multicolori, pettorali d'oro, diademi e gioielli di smalto, piccoli bracieri d'argento incrostati di gemme, legni profumati, erbe propizie per scacciare i mali dal corpo, perle di giada, sandali, pelli di animali feroci, vestiti regali di cotone filato, collari d'oro incastonati di pietre preziose, serpenti d'oro, collari di turchesi, anelli con sonagli aurei, reti per i capelli, catene straordinarie, diverse figure di animali, vasi di oro e d'argento lavorati con maestria, pitture rare e grandi di paesaggi di luna interposti che davano il colorito e animavano la figura, generi di ogni tipo di cotone, pelo di coniglio e piuma, buccheri di fattura squisita e finissima argilla, diversi nel colore e nella fragranza.
Tremando di paura la bella Tlacahxóchitl vedeva tutto; ma quando la comitiva fu scomparsa, proruppe in singhiozzi.
Così la trovò il principe che tentò di asciugare le sue lacrime, ma ella lo respinse.
Atótotl, senza venir meno nel suo intento, le offrì come omaggio un gioiello di grande valore che lei gettò al suolo sdegnosa.
Tale atteggiamento esasperò il signore Atótotl che infuriato tentò di piegarla tra le sue braccia, stanco del suo orgoglio e del suo disprezzo. La lotta fu vile e crudele, ma, quando la fanciulla tentò di fuggire, il principe glielo impedì, per cui ella, scoprendo gli ornamenti di guerra del signore Atótotl, prese il coltello di ossidiana e manico d'oro, e se lo conficcò nel cuore. Tlacahxóchitl con i vestiti insanguinati cadde ai piedi del suo aguzzino. Era ferita a morte e, comprendendo che la sua fine era prossima, chiamò con richiamo amoroso il dio Tonatiuh.
Nel vederla così, il principe chalca, spaventato, uscì in fretta alla ricerca dei guaritori del regno.
Tlacahxóchitl agonizzava; la luce delle tede rendeva più oscura la sua morte. D'improvviso misteriosamente si squarciò il tetto dell'oscura stanza, fugando all'istante le ombre. Un fascio di raggi luminosi scese fino a dove la bella fanciulla giaceva agonizzante, illuminandola tutta. E dietro al fascio di raggi luminosi si lasciò cadere Tonatiuh che, grato per quell'amore tanto puro, desiderava baciare in una carezza di luce il delicato corpo della donzella che tanto lo amava.
Nel sentire la carezza d'amore del suo amato, ella dimentico le sue sofferenze e felice sorrise, e il suo corpo acquistò misteriosamente il vigore giovanile che la morte le stava strappando, e, alzandosi agilmente nonostante la ferita mortale, danzò al fianco del dio, fino a che, venuta meno, cadde morta ai piedi di Tonatiuh.
Il dio d'Oro, commosso, accarezzò con le sue mani il capo immobile della sua amata e all'istante ella si trasformò in un grazioso fiore dal colore soave, Tlacahxóchitl: Tlaca - verga -, xóchitl - fiore -, fiore di verga, tulipano.
L'innamorata Tlacahxóchitl tutti i giorni cerca nel cielo il dio, che accarezza il suo corpo, e Tonatiuh il dio Sole e Tlacahxóchitl il fiore, attraverso i secoli, ancora continuano ad amarsi.